Giulia Maniezzi, laureata in filosofia in Cattolica è oggi negoziatrice per conto della Santa Sede alla Missione Permanente presso l’Onu a New York. Dopo la laurea magistrale conseguita con il massimo dei voti ha effettuato un dottorato di ricerca di tre anni, metà dei quali a Tolosa. Trascorre poi sei mesi nella Grande Mela come stagista presso la Missione della Santa Sede, trovandosi a essere redattrice, alcune volte l’unica, delle riunioni dell’Onu. Torna poi in Italia e riprende la carriera accademica. Poco tempo dopo si apre una posizione come negoziatrice diplomatica presso la Santa Sede, sempre a New York. Giulia finisce nei tre finalisti e vince la selezione. Ora vive e lavora a New York. Abbiamo chiesto una testimonianza di quello che sta accadendo in questi tremendi giorni anche nella città simbolo degli States.
«Ebbene sì – racconta la dottoressa Maniezzi – Anche New York, la città che non dorme mai, la metropoli famosa in tutto mondo per il frastuono assordante, la frenesia continua e l’energia senza eguali, appare oggi irriconoscibile».
Quella che fino a qualche settimana fa sembrava una minaccia ancora lontana è diventata la quotidianità anche qui.
Insomma, vita difficile e prospettive molto preoccupanti anche nella Grande Mela:
«Se è sempre più difficile rimanere al passo con il frenetico susseguirsi di aggiornamenti sul numero di contagi, di ricoveri e di morti – aggiunge la negoziatrice internazionale vigevanese – è invece straordinariamente semplice rendersi conto di quanto New York sia cambiata. Già da diversi giorni e fino a data da destinarsi, ristoranti, locali, cinema, teatri e tutti i luoghi di aggregazione hanno chiuso i battenti. La stessa sorte è toccata anche alle scuole pubbliche, alle università e a tutti i servizi non essenziali. E mentre la normalità, qui come altrove, viene annullata dagli effetti devastanti di quello che il Presidente Trump ha più volte definito come il “Chinese virus”, ad imporsi sono un silenzio assordante e una calma sconosciuti alla Grande Mela».
Da alcuni giorni tutti i network mondiali stanno mandando
«le immagini di strade deserte, di lunghe code per entrare nei supermercati, di scaffali vuoti e di cupi volti nascosti dietro a mascherine sanitarie, diventate ormai abituali anche sui mezzi di comunicazione newyorkesi. A ciò si aggiungono le polemiche – precisa Giulia – più o meno velate, contro l’iniziale mancanza di tamponi e di misure preventive, ma anche contro le complesse – e a volte perverse – dinamiche di un sistema sanitario come quello americano che sta vedendo esplodere le proprie strutturali contraddizioni». Una situazione assolutamente inimmaginabile fono a pochi giorni fa.
«È in questo contesto, allora – prosegue la testimonianza – che anche chi come me è così fortunato da avere un visto di lungo periodo, una casa, e un buon lavoro che permettono di trascorrere questi giorni difficili senza preoccupazioni materiali – come invece accade per molte fasce della società newyorkese – ha pensato, almeno una volta, di prendere il primo volo e tornare in Italia. Perché di questi tempi New York, che da sempre è “casa” per milioni di persone provenienti da tutte le parti del mondo, si è trasformata in un gigante ferito dai tratti sconosciuti e dalle movenze imprevedibili».
di Massimo Sala