Ci aveva già provato con diversi nomi, e per diverse volte. Come EBOLA aveva già fatto un bel “casino” in Africa. Come SARX e AVIARIA e SUINA aveva fatto parlare di sé in Asia. Ogni volta si è ritirato, nascondendosi e tornando a dormire con i pipistrelli o altri animali. Mentre lui dormiva, il mondo lo ha ignorato di nuovo, dimenticandolo e continuando a fare la guerra. A sfruttare le risorse del pianeta, a distruggere la natura, dimenticando che la maggior parte dei suoi abitanti vivono sotto la soglia della povertà, aumentando le disuguaglianze, sordo al grido dei poveri, distruggendo a scoppi di bombe le loro case, le (poche) scuole e i (pochi) ospedali. Per questioni di potere, di predominio, di prepotenza. Intanto lui, il virus, se ne stava in silenzio e irrobustendosi in qualche parte dell’Asia o dell’Africa – tanto lì sono in troppi, e poi fanno troppi figli, cosicché qualcuno in più o in meno non fa differenza, e una piccola epidemia circoscritta aggiusta i numeri non fa notizia.
Nell’ultimo attacco di EBOLA (anni 2014 e 2015), in Africa dell’Ovest, io avevo programmato di andare laggiù. Ho aspettato che l’emergenza fosse finita, eppure sono stato sospettato di essere un veicolo di quelle brutte cose” che devono stare in Africa, e tanto peggio per gli africani. “Quelle brutte cose” non devono venire qui, a disturbare, a fare paura agli “innocenti, bravi e puri” abitanti del Nord del mondo.
Adesso invece è arrivato, dopo essere stato chiamato COVID–19. “Ma non poteva starsene in Cina?”. Anche i cinesi sono tanti, troppi, e qualcuno in meno, qualcuno ha pensato, non sarebbe un guaio. Ma la Cina non è così lontana, perché i cinesi viaggiano, sono tra noi, e viaggiano anche gli italiani e gli altri europei che vanno in Cina e ritornano.
Negli anni in cui gli americani, pochi, andavano sulla Luna, qualcuno aveva espresso il timore che potessero portare sulla Terra non solo campioni di rocce lunari, ma qualche virus alieno che avrebbe attecchito nella povera e indifesa biosfera terrestre, distruggendo ogni vivente. Gli astronauti che tornavano dalla Luna erano sottoposti a lunga e rigorosa quarantena, fatta di analisi e di controlli puntigliosi. I film di fantascienza hanno sfruttato il filone immaginando invasioni e guerre batteriologiche in tutte le componenti di una fantasia catastrofica. Ora il nemico è tra noi. È piccolo, anzi invisibile: e un nemico che non si vede fa ancora più paura. È nascosto e subdolo come una spia nel buio, indesiderabile come un clandestino. Non rispetta confini e frontiere, se la ride dei muri e delle barriere di filo spinato, azzera le differenze sociali, si attacca a principi e a governanti, se la fa con politici e operai, con amministratori e mafiosi, se la prende con medici e preti, con giovani e soprattutto anziani, con ricchi e con i poveri.
È veramente popolare e universale. Il nemico è tra noi, come ricordavano i cartelli di 75 anni fa: “attenzione, bande armate!”. Allora quelle lottavano per la libertà, ora bisogna lottare per la salute, e la prima difesa è l’isolamento: se il virus si nasconde, bisogna isolarsi rinunciando alla libertà di muoversi, di incontrarsi, di abbracciarsi. È duro dover venire meno alle manifestazioni di umanità, è messo a dura prova persino il rispetto per i defunti, che è uno dei segni più alti della civiltà. Le cronache di questi giorni parlano di resistenza: combattono gli ammalati, gli operatori sanitari, chi sta in prima linea e chi nelle retrovie, non però da imboscato, ma da protagonista defilato per assicurare servizi e approvvigionamenti. Ed è sceso il silenzio sulle altre emergenze, sui migranti, che fino a poco tempo fa si pensava fossero loro a fare gli untori del virus invadendo l’Italia e l’Europa. Non si parla più di guerre in Siria e altrove: magari la pestilenza le facesse finire, dato che i contendenti hanno ora uno stesso nemico comune. E che presto questo virus, vampiro che non succhia il sangue ma il respiro, venga vinto, non messo soltanto a dormire fino alla prossima volta.
E poi l’umanità possa vincere anche il virus dell’indifferenza verso i poveri, investendo nella prevenzione sanitaria, nell’accesso all’acqua, nell’igiene, negli ospedali e nelle scuole, nell’alimentazione. Avrà imparato la lezione che le sta dando il COVID–19? Siamo tutti sulla stessa barca che rischia di affondare, più ancora di quelle dei migranti.
di Ivano Reboulaz