“Puntualità nello svolgimento delle consegne; attenzione e partecipazione attiva negli incontri in videoconferenza (rispetto delle regole condivise, capacità di prendere la parola); scoperta di talenti e abilità negli alunni più timidi; manifestazioni di affetto sincero ed esternazione delle emozioni; maturità nell’affrontare tematiche connesse alle educazioni (salute, ambiente); collaborazione attiva dei genitori, nonostante la precarietà e le problematiche economiche. Miglioramento degli apprendimenti negli alunni con bisogni educativi speciali”.
Sono solo alcune delle espressioni utilizzate quando recentemente tra colleghi ci si è confrontati sulla sfida educativa nel pieno della pandemia. Non si tratta di finzione, né di esagerazione, piuttosto è la lettura condivisa della realtà, seppur piccola, che ci ritroviamo a vivere, tra l’altro in un contesto periferico e fragile, schiacciato anche dalla povertà diffusa.
Il mondo della scuola ormai da settimane vive una stagione educativa inedita. Quando le misure restrittive emanate dal Governo hanno raggiunto le comunità scolastiche, in tanti, nei diversi ruoli ricoperti, abbiamo capito che non si sarebbe trattato di un tempo morto. È stato immediato nei docenti e negli alunni, ma anche nei genitori, il desiderio di continuare ad esserci gli uni per gli altri, di fare scuola in modo diverso. Tutto questo nonostante lo smarrimento iniziale – che talvolta perdura o si frappone ai momenti di slancio – di chi ha avvertito un duro colpo, come quello provato da una gran fetta della popolazione italiana costretta a rinunciare a varcare ogni giorno il portone di scuola. Adesso, a distanza di settimane possiamo intravedere tutte le buone intenzioni di insegnanti, alunni e genitori; incluse le tante difficoltà vissute dai singoli in un contesto straordinario e di emergenza come quello attuale. C’è pure un certo orgoglio nei nostri alunni che si sentono protagonisti ed uniti a tutti nella comune strategia di responsabilità nell’affrontare questa emergenza. In questi mesi a distanza posso testimoniare i fragili e decisi sguardi propositivi di chi ha gradualmente compreso di affrontare con il sacrificio della rinuncia e con le scelte adottate in prima persona, la difficile emergenza sanitaria. Anche quando condividono paura e desideri si sentono parte di un tutto. Penso che mai dimenticherò la condivisione in piattaforma “in ritardo” di un prodotto da parte di S. con la sua esclamazione “Scusate il ritardo, ho atteso il telefono di mamma che è appena tornata dal suo turno. Lei lotta contro il coronavirus”. In un frammento di secondo si apre la vita degli alunni, quella che in queste settimane ha avuto la priorità su tutto.
Sono un’insegnante precaria di scuola primaria, un’insegnante specializzata per le attività di sostegno. Quest’anno ho l’onore di prestare servizio a Brancaccio, presso l’I.C. Padre Pino Puglisi. È innegabile un fatto: ci mancano i bambini, ci manca vivere la co-costruzione di un sapere che lascia traccia di sé in un habitat ben definito, la scuola appunto, con aule e spazi che tutti conosciamo e amiamo. Voglio però raccontare un’esperienza positiva, una delle tante, perché sono convinta che quanto abbiamo vissuto o continuiamo a vivere in un contesto di emergenza, stia lasciando una traccia di combattiva resistenza nel bagaglio personale di ciascuno, che soltanto il tempo ci darà la possibilità di decifrare e raccontare.
Sono a conoscenza di tantissime esperienze positive in questo tempo difficile, vissute con i ragazzi e i loro genitori. Perché il primo miracolo di questi mesi ha un nome: “alleanza educativa” o reciprocità educativa. È impossibile non accorgersi di quanta umanità solidale sia venuta fuori e sotto lo sguardo dei più piccoli, adesso più di ieri affamati di normalità e di relazione. Infatti, il secondo miracolo di questi mesi è che tutti, proprio tutti, abbiamo capito quanto la tecnologia sia uno strumento, solo uno strumento di aiuto, che non sostituisce la relazione educativa con la parola e il suo tocco. Un’altra cosa l’abbiamo vista in questi mesi: la parola ha un corpo, un volto, una storia. In un momento critico e di estrema fragilità ci siamo ritrovati a sperimentare e a trovare il modo per rompere il silenzio e dirci reciprocamente “Ci sono”.
Abbiamo sicuramente fatto degli errori, su tutti i livelli, ma se c’è una cosa che caratterizza la scuola è proprio il desiderio. Lo studio di strategie e il desiderio di conoscere, costruire attivamente il sapere, guardare in prospettiva innesca nel cuore di tutto il complesso organismo scolastico, una concatenazione di scelte pro-attive, grazie alle quali si è provato e si prova a vivere questo tempo educativo nuovo. La mia esperienza positiva è una carezza. Già, in un momento in cui si è costretti a comunicare a distanza e in stanze virtuali, la creatività dei piccoli, capace di abbattere barriere fisiche e mentali, emoziona e trasmette calore. Tutto questo è documentato in un muretto virtuale (padlet), pensato dall’intero gruppo delle docenti della classe, che abbiamo chiamato “Emozioni in circolo: lascia traccia dei tuoi pensieri”. Di giorno in giorno, dall’inizio della chiusura delle scuole, questo muretto si colora e arricchisce di frasi, disegni, estemporanee dei nostri alunni con strumenti musicali, note audio, richieste di aiuto, sorrisi, scatti fotografici e note didascaliche per portare compagni ed insegnanti fuori con i propri occhi.
Quando ci si ritrova in video-lezione si fa sempre riferimento alle emozioni condivise e ormai conosciamo bene gli spazi di casa amati dai nostri alunni. I genitori – e talvolta anche i nonni – sono lì, pronti a sostenere e a trasformare in gesti le nostre parole; alcuni attendono le sfide che di volta in volta gli insegnanti lanciano nel muretto e con i figli si mettono in gioco. Quando abbiamo pensato a questo padlet avevamo inconsapevolmente creduto alla straordinaria capacità di reazione dei nostri alunni.
Non ci siamo posti liste di cose da far fare, né abbiamo atteso di leggere i decreti per procedere, piuttosto abbiamo provato a non fermare il processo educativo e di apprendimento in atto, coinvolgendo più direttamente i nostri alunni e lasciandoci interpellare da un sapere emozionale sempre in fieri. Con il supporto della rete scolastica e il coinvolgimento dell’Assistente all’autonomia e alla comunicazione, abbiamo provato a trovare le soluzioni e in un’ottica inclusiva si è cercato di trovare formule appropriate alle famiglie dei nostri alunni.
I “piccoli passi a distanza” di oggi dicono che il sale della scuola rimane la didattica in presenza che è la scuola dell’abbraccio, quel procedere insieme passo dopo passo, esperimenti e mani sporche per la realizzazione di manufatti, quel “sbagliando s’impara” che dice attesa, miglioramento, incoraggiamenti verbali, tutto un universo di occhi che si incrociano e risate che scoppiano nel bel mezzo di una spiegazione, ma anche tutto quel peer to peer che solo in presenza può essere vissuto.
Ma l’aver messo in questi mesi al centro le emozioni rimane una lezione. Non rinunceremo mai più all’emozione di apprendere, ai vissuti dei nostri alunni, alla ricerca delle loro peculiarità, perché in queste settimane a distanza e senza fretta, li abbiamo conosciuti di più, ci siamo arricchiti scoprendo il loro mondo ed entrando nei loro contesti, abbiamo dialogato con i loro genitori, infondendo fiducia e speranza, quando abbiamo visto i nostri alunni stanchi e provati. Questo scambio vitale ci ha paradossalmente fatto accorgere di quanti “miracoli educativi” possa fare la “didattica della vicinanza”, così come di recente l’ha definita Daniela Lucangeli, provando a dire ciò di cui la scuola oggi ha bisogno.
di Giovanna Parrino