Con questa frase tratta dall’Apocalisse (cap. 21,5), il 27 giugno si è aperto il III° Convegno diocesano della Caritas, tenutosi per la prima volta in videoconferenza.
Un brano scelto come chiave di lettura “profetica” per ripensare l’eccezionalità di un periodo che, a causa della pandemia, sta attraversando drammaticamente l’esistenza di ognuno di noi, di tutta la comunità, del mondo intero. Un’esperienza che ha toccato tante dimensioni della vita sociale e del nostro impegno pastorale, tanto da suscitare tra i volontari e gli operatori dei servizi di carità, l’esigenza di mettere in comune le riflessioni e le nuove prospettive imposte da tale evento. Un’occasione per comprendere i cambiamenti che si sono prodotti nella società e le risposte che sono necessarie per essere adeguati nelle forme e nei tempi ai compiti ai quali siamo stati chiamati. Ma anche con la necessità di ripartire dall’invito del Signore a rileggere la nostra storia e la nostra realtà di vita alla luce della novità della Pasqua di Resurrezione.
Con la stessa prospettiva che ha indicato Papa Francesco quando il 3 aprile – il giorno di Pasqua, in piena quarantena e con già i segni di una sofferenza che avrebbe attraversato vecchie e nuove povertà, solo nella Piazza San Pietro – celebrava la Santa Messa per gridare al mondo che la Chiesa – la comunità santa del popolo – camminava insieme verso quella novità di vita. Durante il Convegno si sono susseguite le testimonianze di un medico dell’ospedale di Torrette (Simone Pizzi, referente della pastorale della salute), delle responsabili del Centro d’Ascolto della Caritas (Fabiola e Stefania), delle coordinatrici della Caritas di Osimo (Donatella e Olimpia). Nei loro interventi hanno trovato eco tanti “Racconti di Pasqua” – come ci ha poi ricordato don Fausto Focosi – nei quali ritrovare i germi di quella speranza nelle cose nuove che guida la nostra fede. Interessante il contributo del medico, in prima linea contro il coronavirus.
“Mai come in questo periodo abbiamo scoperto il valore e l’importanza del lavorare insieme, come una squadra, con un grande senso di unità d’intenti, superando ogni minimo contrasto, per il bene del paziente e la salvezza del maggior numero di malati. Un senso di unità e di solidarietà che abbiamo potuto verificare anche tra i pazienti e tra tutti coloro che venivano in contatto con la struttura sanitaria, senza discriminazioni. Questo approccio al paziente ci ha fatto riscoprire il senso autentico della nostra professione e cioè che curare, prima ancora della somministrazione delle medicine, significa farsi carico della persona, portare la persona nel cuore”.
Un approccio che sicuramente ha aiutato i pazienti a superare il dramma del Convid-19, caratterizzato dalle scarse conoscenze della malattia e dall’isolamento a cui è stato costretto il paziente rispetto ai propri cari.
“Un’esperienza drammatica che tuttavia ci ha fatto toccare con mano – prosegue il dott. Pizzi – che anche là dove la malattia ha avuto il sopravvento e la medicina è risultata sconfitta, noi operatori sanitari attraverso la vicinanza e l’affetto potevamo comunque far vincere la persona, la sua dignità. Le testimonianze di gratitudine in questo senso sono state molte”. Il Convid-19, infine, ci ha insegnato il senso di una responsabilità personale e collettiva nei confronti delle norme di prevenzione del contagio, nell’assunzione di comportamenti che tutelano la vita di ciascuno di noi.
Com’è noto, la Caritas di Ancona-Osimo non è andata in quarantena e, pur chiudendo alcune attività a causa delle norme anti contagio, ha garantito i servizi essenziali. Ce l’hanno ricordato, nel secondo intervento, Fabiola e Stefania, le referenti del Centro d’Ascolto. Ecco in sintesi alcuni dati che indicano il grande lavoro svolto in questo difficile periodo. Sono pervenute moltissime richieste di aiuto e sono stati effettuati circa 250 ascolti, la mensa serale ha confezionato in tre mesi ben 13 mila pasti da asporto, gli Empori della Solidarietà hanno sostenuto i bisogni alimentari di 600 nuclei familiari per un totale di 1600 spese, sono stati consegnati 1200 pasti a domicilio ad anziani non autosufficienti e garantite 400 docce alle persone senza fissa dimora.
Tante le persone sconosciute prima d’ora, mai incontrate prima della pandemia, in situazioni di precarietà, irregolarità, senza più un lavoro e una fonte di reddito (badanti, lavoratori occasionali, in nero). Si è trattato spesso di persone che si sono rivolte alla Caritas come estrema soluzione per risolvere le loro necessità immediate, superando spesso il senso di pudore e il timore di essere giudicati.
“Un’esperienza – ci confidano Fabiola e Stefania – che ci ha insegnato a condividere il senso di fragilità, anche superando la paura e l’incertezza del momento, soprattutto quando ci siamo messi noi a cercare, seppure telefonicamente, il contatto e la vicinanza con queste persone”. Forte il senso di gratitudine degli anziani destinatari dei pasti a domicilio. Negli Empori poi abbiamo scoperto la spontaneità con cui è possibile costruire una relazione di ascolto e vicinanza con gli utenti, in ciò favoriti dal pieno rispetto dell’autonomia e della dignità della persona, della famiglia che si reca al supermercato per fare la spesa quotidiana.
La terza testimonianza è venuta dalla Caritas di Osimo dove la pandemia ha coinciso con una inaspettata resilienza di tutta la comunità ecclesiale e civile, dando prova di una stringente rete di solidarietà. Caritas parrocchiali, associazioni del terzo settore, enti pubblici e privati, istituzioni scolastiche, Comune, singoli cittadini, si sono prodigati per portare sollievo alle persone in difficoltà.
“La Caritas – ci dicono Donatella e Olimpia – ha intercettato questo grande cuore pulsante della comunità, agendo da coordinamento e da collante per tante iniziative benefiche. Un’eredità che ci insegna a guardare e ad ascoltare le manifestazioni dello Spirito che agiscono nella storia di ognuno e di tutta una comunità che scopre il valore di camminare insieme. È l’immagine di una Chiesa in uscita, che va incontro alla gente, ai poveri, alle persone di buona volontà.”
Nel concludere questa parte del Convegno don Fausto Focosi è ritornato al senso della Pasqua celebrata quest’anno nel mezzo del lungo lockdown. Un evento celebrato in un periodo di angoscia, di paura, di separazione, di sofferenza, ricordando come proprio dai “Racconti di Pasqua” del dott. Pizzi in ospedale, nelle chiacchere scambiate negli Empori, nei saluti quotidiani agli anziani, sono rigenerati gli atteggiamenti, è rinata la vita, sono scaturite nuove forme di prossimità. Ecco allora il tema del convegno che – come ci ha ricordato Mons. Angelo Spina – riemerge per animare la speranza del cristiano. La carità è la risposta all’amore di Dio. Trova il suo autentico significato se discende dalla comunione con Lui e con i fratelli.
Il Convegno è terminato con una riflessione di Simone Breccia, direttore della Caritas, che ha ricordato le tante iniziative che sono state interrotte a causa della quarantena. Soprattutto nel settore della formazione dei volontari. Sarà importante riprendere questo cammino, a cominciare dal lavoro sul territorio, con i parroci e le Caritas parrocchiali. Le parrocchie infatti, anche in questo periodo di difficoltà, hanno dimostrato di essere un importante nodo di raccordo con la Caritas diocesana: esse hanno svolto un ruolo essenziale sia per offrire risposte immediate alle situazioni di bisogno, sia per orientare le persone ai servizi della Caritas diocesana, garantendo una rete di solidarietà. Un impegno per rafforzare la rete della comunità e rendere il servizio di animazione alla carità ancora più diffuso.
di Claudio Grassini