“Andrà tutto bene”. Una frase che sentiamo spesso nelle ultime settimane, che incornicia un periodo difficile. Ecco allora che si cerca di stare vicino a tutti con la trasmissione via Fb della Santa Messa domenicale, così come qualche vescovo o parroco. C’è la Missione, la Chiesa, ci siamo NOI, di tutte le età: piccoli e grandi; ed un grazie va a tutti coloro che con un video con un messaggio o una canzone, una foto, un disegno, una frase, hanno reso ancor più viva la Missione: persone e soprattutto cristiani che non si arrendono.
La messa non si può celebrare comunitariamente, è vero, ma la comunità c’è e c’è anche in videochiamata con gli altri, sui social, nella musica, nella preghiera. C’è ed è più viva che mai. Inoltre non si hanno problemi a spiegare alla gente che si può santificare la festa anche pregando in casa. Nessuno si meraviglia, nessuno protesta … e non abbiamo polemiche da sanare neppure all’interno della Chiesa! La limitazione si accetta con serenità e come una cosa che si scosta poco dalla normalità. Per molti la domenica passerà con il pensiero rivolto alla chiesa nel momento in cui sentiranno suonare le campane. Allora, in quel momento, si faranno il segno della croce, (che fanno sempre quando sentono una campana!), pregheranno al modo che loro conoscono (io ho suggerito il rosario) e cercheranno di evitare lavori pesanti di domenica. Come cercano di fare sempre, anche se, il lavoro di ogni giorno non può essere lasciato indietro, perché almeno nel Nord della Germania la cosa più importante non è proprio la spiritualità ma il portafoglio. Ed allora … che succede, qui, al tempo del corona virus? Sembrerebbe che si possa avere più tempo per sé stessi, ma non è proprio così perché se come da noi è stato deciso di sospendere Sante Messe e incontri pastorali almeno fino alla fine di Aprile, ciò non toglie che ci sia bisogno della confessione o della celebrazione di un funerale od altro.
Abbiamo anche ricordato che il Signore non è “confinato in Chiesa”! Il Signore è con noi, ovunque ci troviamo. E se, attraverso la preghiera, lo “contattiamo” come un ospite “non infetto”, Lui ci aiuta ad affrontare le difficoltà che stiamo vivendo. Ci aiuta ad uscirne più forti, anche spiritualmente. Ecco quindi che dobbiamo riempiere quello che apparentemente può sembrare un calendario vuoto con la fede, la preghiera, le opere buone, relazionandoci anche con gli amici…forse anche con quelli che il ritmo della vita ce li ha messi nel dimenticatoio. La comunità in questo momento è più “social” che mai e si cerca di rimanere uniti in questo modo. Però in questi giorni di reclusione forzata all’interno del mondo cattolico e non solo, si è aperto un vivace e appassionato dibattito circa la straordinaria decisione di sospendere ogni messa e funzione religiosa. Secondo il partito favorevole alla serrata dei luoghi di culto “senza se e senza ma”, le chiese sarebbero infatti luoghi da fuggire, in particolare per la loro peculiarità di “attirare gli anziani” che rappresentano in questo momento la categoria più a “rischio epidemia”. Per questo, come sono stati chiusi musei, parchi, negozi, ecc., in nome della suprema e prioritaria tutela della salute pubblica, vanno sbarrate anche tutte le chiese, tanto “Dio è più grande di ogni luogo” e ognuno di noi può alimentare l’anima lo stesso in mille altri modi diversi. In una prospettiva cattolica il coronavirus con il suo tributo di morte, può essere interpretato dunque come un richiamo alla realtà che ci mette in guardia nei confronti della odierna effimera ed imperante mentalità del consumo e del benessere, ricordandoci che siamo esseri fragili e deperibili… Al riguardo, in questi giorni Amedeo Capetti, direttore del dipartimento di malattie infettive dell’Ospedale Sacco di Milano, ha dichiarato:
«Io ai miei pazienti ho sempre detto: “Guardate che la battaglia per la salute è una battaglia persa, prima o poi la perderemo tutti quanti, quindi è inutile insistere così su questa… la salute è semplicemente lo strumento per poter incontrare e riconoscere nella vita Chi ci ha dato la vita! E quindi poter rendere anche la nostra vita grande”… lo dico a maggior ragione adesso, ci si rende conto che siamo fragili ma non ci deve far paura questo, ma ci deve far spostare il tiro su ciò che non è una battaglia persa”… Ci sono pazienti che mi hanno scritto: “Ma dottore io non ho paura di morire, quando il Signore mi chiamerà vorrà dire che sarà arrivato il mio momento e io sarò felice di tornare da Lui”… Tutte le epidemie sono un’occasione in questo senso».
In questa ora, per molti drammatica, purtroppo molti dicono che la Chiesa ha scelto di abbandonare l’“ospedale da campo” e di rinunciare alla propria missione, adeguandosi silenziosamente alle disposizioni governative, senza nemmeno alzare la voce e provare a rivendicare il proprio imprescindibile ruolo. Eppure le soluzioni, garantendo tutti i requisiti di sicurezza, ci sarebbe state: i vescovi polacchi avevano fatto una proposta di moltiplicare le messe così da diradare al massimo i fedeli partecipanti, altri avevano suggerito di celebrare solo nelle chiese ampie, evitando quelle piccole. In Italia abbiamo chiese enormi e i fedeli che partecipano alle messe, ahinoi, sono sempre di meno, quindi si sarebbero tranquillamente potute garantire le distanze di sicurezza. Altri ancora hanno proposto di celebrare le messe all’aperto. Nessuna di queste proposte è stata però presa in considerazione. Si è scelto di non contrattare con lo Stato alcuna soluzione e adeguarsi come se la Chiesa cattolica fosse una banale organizzazione umanitaria qualsiasi. Ma, ad onor del vero, bisogna dire che le missioni continuano a dare il proprio servizio al di là se gli uffici sono chiusi, i Missionari proprio perché tali sono sempre al servizio del popolo di Dio loro affidato.
di Don Pierluigi Vignola