Era nato quasi con timore Camp Miracolo e non doveva chiamarsi così. O meglio, non c’era stato tempo per pensare ad un nome, presi tutti dalla fretta di dover dare un riparo e un luogo di accoglienza a chi vive per la strada ed era esposto al pericoloso contagio da Covid-19. A dare un nome nuovo e del tutto originale alla palestra del Palaravizza, dove fino al giorno prima qualcuno ci faceva rimbalzare la palla a spicchi a caccia di un canestro, ci hanno pensato gli ospiti nella maniera più ovvia e sorprendente possibile: armati di pennarelli colorati hanno scritto su un pezzo di cartone “Welcome to Camp Miracolo”, e lo hanno appeso all’esterno; poi ci hanno aggiunto anche il classico “Andrà tutto bene”, giusto per ribadire che lì nei miracoli ci si credeva davvero. Che forse, poi, veramente basta crederci:
“Oggi al Camp ci sono ancora 9 persone – precisa Cristina Marcianti, referente dell’Area Housing della Caritas Diocesana di Pavia -. Il numero maggiore di ospiti durante l’emergenza ha raggiunto le 15 unità. Alcuni hanno già intrapreso altre nuove strade: diverse persone accolte, infatti, hanno trovato il coraggio di cominciare una nuova e personale impresa e qualcuno ha trovato un lavoro, un altro ha deciso di scegliere il percorso della comunità, altri si sono rimessi in gioco e stanno esplorando altre prospettive. E pensare che all’inizio non eravamo convinti che il luogo di accoglienza che avevamo creato potesse funzionare: offrire un posto al riparo, certo, ma chiuso a persone che sono abituate a vivere da sole per la strada era un’incognita, temevamo che non venisse accettato e quindi c’era il rischio che rimanesse deserto. Invece, primo miracolo, le persone sono arrivate e hanno creato fin da subito (secondo miracolo) un clima positivo di collaborazione, sostegno e aiuto; si sono uniti nelle difficoltà del presente facendo fronte all’arrivo inaspettato di una epidemia mondiale”.
Insomma, a Camp Miracolo si stava e si sta pure bene, forse meglio che esposti alle intemperie che sanno di libertà oppure al pericolo di un contagio: spinti dal momento di emergenza e dalla naturale reazione di ogni essere umano a salvarsi l’esistenza, tutti hanno tirato fuori il loro meglio, chi coltivando piantine, chi leggendo libri e poesie e chi suonando la chitarra e contribuendo a creare un clima sereno in un periodo che di sereno non aveva proprio nulla. E poi ci sono i volontari, tante persone di cuore che si sono mossi per essere di aiuto:
“Alla realizzazione e alla gestione del campo hanno contribuito, oltre alla nostra Caritas, anche il comune di Pavia, i volontari di Sant’Egidio, la Croce Rossa locale, la Ronda della Carità, la Protezione Civile – sottolinea ancora Cristina -. Ci sono stati poi anche gli studenti universitari del gruppo ‘Dove c’è bisogno, che io porti un aiuto’ coordinato dal professor Giuseppe Faita: i ragazzi hanno preparato torte e pizze che sono tornate molto utili per colazioni e merende, accompagnandole da messaggi incoraggianti. Insomma, lo scopo è sempre stato quello di far capire agli ospiti che non erano soli e che erano anche al sicuro”.
La ditta Pellegrini ha fornito i pasti caldi a tutti gli ospiti. Oltre a Camp Miracolo, la Caritas di Pavia ha dovuto procedere in tempi ristrettissimi anche all’adattamento del dormitorio di via Bernardino da Feltre 11 trasformandolo in accoglienza h24: gli ospiti non potevano ovviamente uscire durante il giorno e il timore era che potessero sentirsi rinchiusi e non accettare l’isolamento forzato. Ed invece, anche in questo caso, tante persone si sono rese utili: alcuni ospiti hanno fatto da custodi diurni e si sono dati da fare per avviare mille attività tra cui anche la sistemazione di siepi e giardini, il disegno e tanto altro.
“Abbiamo agito quasi senza sapere cosa sarebbe accaduto o se poteva funzionare ma di certo ognuno ha dato la propria parte – conclude Cristina Marcianti -. Diciamo che sia il Camp che il dormitorio hanno contribuito a creare, in un momento difficile come quello che abbiamo vissuto, storie positive e noi abbiamo fiducia che potranno continuare”.
di Simona Rapparelli