«In certi momenti ho avuto la sensazione di avere accanto a me degli angeli». Inizia così il racconto della lotta contro il Covid, combattuto e vinto da suor Maria Pia Barboni dell’Oasi San Giuseppe di Ginestreto sulle colline di Pesaro. Una minuscola comunità religiosa delle Maestre Pie dell’Addolorata composta da suor Maria Pia e da suor Angela Hurtado. Il piccolo convento negli anni è diventato un centro di spiritualità frequentato da tantissimi fedeli e sacerdoti pesaresi. «Sabato 28 marzo – ricorda suor Pia – mi sono trovata catapultata in ospedale e lì sono rimasta fino al 16 aprile, giorno della mia dimissione». Pochi giorni prima aveva compiuto 78 anni ed era classificata come paziente ad alto rischio avendo già subito in passato alcuni delicati interventi per aneurisma e per un cancro allo stomaco.
Suor Pia com’era la situazione?
Molto critica. I medici dicevano che avevo una “polmonite terribile” anche se io mi sono sempre sentita serena e accompagnata da Gesù e dalla Madonna, visto che già mi avevano aiutato altre volte. Mi sono ritrovata protetta nella mia fragilità. E non è poco! Dalla mia consorella suor Angela sapevo che i miei familiari, l’intero Istituto e una marea di amici erano in preghiera e questo mi ha fatto sentire coccolata. Davvero l’amore guarisce come avevo già potuto sperimentare nelle altre malattie superate. L’Amore con l’A maiuscola guarisce sempre.
Cosa hai detto ai medici quando sei arrivata in ospedale?
Quasi scherzando ho detto loro di non perdere le mie vecchie cartelle cliniche perché lì dentro c’erano tanti miracoli… e loro hanno sorriso rassicurandomi: “stia tranquilla perché i miracoli non li vogliamo perdere”.
Hai avuto qualche momento di sconforto?
Il giorno di Pasqua. Ma poi, attraverso alcuni messaggi di una carissima amica, ho ripreso quota. Ho trascorso circa una settimana nel reparto di medicina intensiva poi mi hanno trasferita in sub intensiva. Ho trovato medici, infermieri e operatori, dotati una grande umanità. Per circa tre giorni mi hanno attaccata ad una sorta di casco per l’ossigeno con un rumore assordante. Poi pian piano ho ripreso a respirare in modo autonomo. A quel punto non vedevo l’ora di tornare a casa ma i medici volevano trasferirmi in un’altra struttura intermedia. Io però, pensando all’ampiezza della nostra casa di Ginestreto, sognavo di potermi creare uno spazio che fosse come una piccola cella per vivere in intimità con Gesù, lo desideravo tanto e così per grazia di Dio sono stata esaudita.
Domenica scorsa si è celebrata la giornata mondiale delle vocazioni. Nei giorni della malattia hai ripensato alla tua vita consacrata?
Certo e l’ho ripensata come un dono. Sono cresciuta nell’Azione Cattolica nel mio piccolo paesino di San Donato di Sant’Agata Feltria e ho avuto la fortuna di incontrare dei bravissimi sacerdoti. Sin da bambina mi hanno insegnato a pregare per scoprire la mia vocazione. Inizialmente la mia prospettiva era verso il matrimonio anche perché ero fidanzata. Ma sentivo il bisogno di una famiglia più grande. Con sofferenza dopo tre anni ho interrotto il fidanzamento e a 21 anni sono entrata dalle Maestre Pie di Rimini dopo il noviziato a Coriano. A 23 anni sono diventata suora e ringrazio il Signore per avermi fatto anche conoscere l’amore umano. Nel tempo sono stata a Riccione in un centro di formazione permanente per la famiglia e i giovani. Qui ho dato tutto quello che potevo. Poco prima del 2000 mi sono ammalata e mi hanno mandato a Ginestreto per un breve periodo e invece sono ancora qui.
Oggi come trascorri l’isolamento?
Sono grata per essere qui nel mio “eremo”. Le premure di Suor Angela, che seppure non incrocio fisicamente, sono come una carezza di Dio. Le mie giornate sono piene. Le mie deboli energie non mi impediscono di essere in ascolto delle tante persone che soffrono e così, continuo il mio servizio di “povera tra i poveri” e di “debole tra i deboli”.
Quale messaggio vuoi inviare a tutte le persone che vivono questo lungo periodo di sofferenza?
Che dobbiamo tornare al nostro primo amore che è Dio.
DI ROBERTO MAZZOLI